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È questa la motivazione per cui Cla consulting è stata insignita del “Le Fonti Award” 2017 per il miglior studio professionale dell’anno nel settore del contenzioso tributario.
Nella serata a palazzo Mezzanotte nella sede di Borsa Italiana sono state premiate oltre trenta società molto diverse per dimensione e settore, che condividono però la stessa ottica per la qualità e l’innovazione tra cui Epson, Fujitsu, Dainese, Edenred, Marazzi, Mep e Adp. Per noi che da anni siamo leader in Italia nella consulenza fiscale e tributaria questo risultato non rappresenta un punto di arrivo, ma uno stimolo a continuare su questa strada.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
Le precisazioni contenute nella circolare 37/E consentono di delineare in modo più chiaro gli aspetti operativi dell’assegnazione agevolata dei beni ai soci. Si può ricavare dalla lettura del documento un utile confronto tra le operazioni di assegnazione e di cessione del bene. A questo proposito va fatta una premessa: la circolare contiene un’importante precisazione circa la libertà di scelta da parte degli operatori. Viene infatti ribadito che l’opzione per l’assegnazione in
luogo della cessione, e viceversa, potrebbe costituire una scelta preordinata all’esercizio di una facoltà prevista dalla legge, dalla quale deriva un risparmio di imposta legittimo e non sindacabile in base alle norme sull’abuso del diritto.
In secondo luogo ricordiamo le fondamentali differenze che la norma agevolativa introduce tra assegnazione e cessione nel calcolo dell’imposta sostitutiva:
Vediamo le principali differenze tra le due operazioni.
Regime delle riserve
Un altro importante chiarimento arriva con riferimento alle riserve di utili che si possono generare nell’ipotesi di cessione agevolata. Se dalla contabilizzazione dell’operazione emerge una plusvalenza, questa, in caso di un risultato positivo di esercizio, potrebbe concorrere a formare una riserva di utili la cui distribuzione successiva rileva in capo ai soci come dividendo. Come specificato nella circolare e ribadito nel il comunicato stampa a corredo della stessa, anche nella cessione, così come era chiaro per l’assegnazione, l’imposta sostitutiva pagata dalla società libera le riserve di utili che eventualmente si formano, pertanto le plusvalenze confluite negli utili non genereranno tassazione in capo ai soci in sede di distribuzione dei dividendi.
Beni immobilizzati
In questi casi il regime delle plusvalenze è sostanzialmente identico. Per l’assegnazione, come per la cessione, esse infatti non rilevano nè ai fini dell’Ires né ai fini dell’Irap, ma concorrono a formare l’ammontare dei parametri di riferimento per calcolare la deducibilità degli interessi passivi (articolo 96 del Tuir) o delle spese di rappresentanza (articolo 108 del Tuir). La differenza maggiore si riscontra invece nel caso delle minusvalenze: infatti mentre nell’assegnazione l’indeducibilità è
prevista dal testo unico (articolo 101 del Tuir) nel caso di cessione la circolare chiarisce che le minusvalenze rilevano anche ai fini dell’Ires. Del resto se una cessione genera una minusvalenza, e la società cedente può dedurla, dall’altro lato il socio cessionario riceve un bene con un costo fiscale inferiore a quello che era riconosciuto alla società, ed è quindi su di esso che grava la plusvalenza latente tassabile in futuro. Non è specificato se questa conclusione sia valida solo quando il
corrispettivo è almeno pari al valore normale del bene ai sensi dell’articolo 9 del testo unico, come invece viene detto chiaramente per i componenti negativi derivanti dall’assegnazione di beni merce.
Beni merce
Quando oggetto dell’agevolazione sono beni di questo tipo, la scelta tra assegnazione e cessione produce risultati assolutamente identici, infatti, non solo c’è piena simmetria di trattamento delle plusvalenze, ma anche delle eventuali minusvalenze realizzate. Vanno fatte a questo proposito due
precisazioni: la deduzione delle minusvalenze è consentita a condizione che i componenti positivi delle rimanenze siano assunti in misura non inferiore al loro valore normale (articolo 9 del Tuir); le minusvalenze che derivano da queste assegnazioni o cessioni devono prioritariamente essere utilizzate per compensare plusvalenze da assegnazione o da cessione.
Il costo in capo al socio
Quando si valuta la convenienza comparata delle due ipotesi, bisogna anche tenere conto degli effetti in capo al socio. Come ricorda la circolare, il costo riconosciuto del bene ricevuto dal socio cambia; in particolare:
Nel caso degli immobili, occorre poi tenere conto dell’orizzonte temporale di mantenimento del bene in capo al socio: se è prevista la sua cessione dopo un quinquennio, il fatto di avere un costo fiscale riconosciuto inferiore, e quindi una plusvalenza latente superiore, è sterilizzato comunque dalle norme Irpef che rendono esente la plusvalenza realizzata.
Uno dei temi di maggiore interesse per le imprese italiane riguarda la possibilità di fruire dei benefici fiscali (maggiorazione degli ammortamenti) a fronte di investimenti in beni nuovi. Su questo aspetto si stanno accavallando, per il 2017, tre disposizioni, e precisamente: il bonus del 40% sui beni materiali generici, il bonus del 150% sui beni ad alto contenuto tecnologico (indicati sinteticamente con il termine Industria 4.0) e il beneficio del 40% sui beni immateriali Industria 4.0.
Le norme di legge che hanno prorogato e ampliato il beneficio hanno però bisogno, come sempre, di interpretazioni, soprattutto per quanto riguarda la concreta applicazione ad alcuni casi pratici. Su questi aspetti, anticipiamo oggi le risposte fornite dall’agenzia delle Entrate ai quesiti posti dagli operatori e che verranno ufficializzati oggi nel corso di Telefisco . Con una sorta di anteprima della manifestazione.
Una questione molto importante riguarda l’intreccio tra periodo in cui viene effettuato l’investimento e misura del beneficio. In prima battuta, occorre ricordare che l’applicazione delle norme è legato al criterio di competenza temporale dettato dalle regole del Tuir (articolo 109). Questo vuol dire, prendendo ad esempio il caso più diffuso, ovvero quello di acquisto di beni
materiali finiti, che il momento rilevante per determinare la spettanza o meno del beneficio è la data di consegna o spedizione del bene. Se un bene è stato consegnato nel 2016, sarà sicuramente agevolato, ma solo con le misure previste per quel periodo d’imposta: questo significa che, anche se si tratta di un bene industria 4. 0, il beneficio spetterà nella misura del 40% anziché in quella maggiorata del 150 per cento. Dal punto di vista formale questa conclusione è ineccepibile, dato che
la norma sugli iper ammortamenti non può che entrare in vigore dal 1° gennaio 2017, data in cui produce effetti la legge 232, ovvero la legge di bilancio 2017. È invece dal punto di vista sostanziale del funzionamento come incentivo della norma tributaria che si verifica una situazione spiacevole: le industrie che si sono date da fare per riuscire a ottenere la consegna di alcuni impianti 4.0 nel dicembre dello scorso anno, proprio per il timore di non potere fruire del bonus in caso di
slittamento a gennaio, si trovano ora paradossalmente penalizzate perché non possono beneficiare della norma (nuova) di maggiore agevolazione.
Ricordiamo anche che non sono assolutamente rilevanti, ai fini di questa analisi, il momento di entrata in funzione del bene né quello di avvenuta interconnessione del bene con il sistema aziendale. Infatti, a una specifica risposta, le Entrate confermano che se è un bene è stato consegnato nel 2016, anche se entra in funzione e viene interconnesso al sistema aziendale nel 2017, la misura del beneficio rimane ancora quella che vigeva lo scorso anno, e quindi il costo può
essere maggiorato solo del 40 per cento.
La competenza dell’investimento in beni materiali condiziona anche il bonus sul software: viene infatti precisato che se l’acquisto del bene immateriale industria 4.0 avviene nel 2017 ma il software viene utilizzato per impianti acquistati in precedenza, il bonus non spetta. In altri termini, per beneficiare dell’agevolazione sui beni immateriali è necessario che esista almeno un bene materiale che fruisce della maggiorazione del 150 per cento. Per converso, non è necessario che il bene immateriale sia specificamente riferito al bene materiale che fruisce dell’iperammortamento: si può
trattare, quindi, anche di un software non riferibile allo specifico bene materiale agevolato. Se l’investimento riguarda un bene materiale che già comprende un software necessario per il suo funzionamento (software embedded), l’intero corrispettivo di acquisto fruisce della maggiorazione del 150%, senza bisogno di distinguere la componente materiale da quella immateriale. Nelle risposte viene specificato che questa interpretazione deriva dal fatto che i beni indicati nell’allegato
B sono software stand alone, e quindi non necessari al funzionamento specifico del bene.
L’agenzia delle Entrate ha fornito molte risposte sul tema della maggiorazione degli ammortamenti (si vedano anche i primi commenti sul Quotidiano del Fisco di ieri ).
Una delle questioni operative su cui si sono focalizzati i dubbi degli operatori riguarda il requisito dell’interconnessione del bene oggetto di investimento con il sistema aziendale. Su questo aspetto interviene una delle risposte dell’agenzia, che detta i primi criteri per circoscrivere la definizione di bene interconnesso. Le condizioni giudicate necessarie e sufficienti riguardano due aspetti: l’identificazione univoca del bene mediante l’utilizzo di standard di indirizzamento riconosciuti (ad
esempio l’indirizzo IP); l’esistenza di scambi di informazioni con sistemi interni o esterni per mezzo di collegamenti documentati che seguono protocolli ufficialmente riconosciuti. Rimandiamo al contenuto letterale della risposta per l’individuazione, a carattere esemplificativo, di alcune specifiche tecniche.
A questo proposito va ricordato anche che la definizione di interconnessione e delle informazioni che deve contenere la dichiarazione dei periti che certificano questo requisito dovrebbero essere oggetto di un protocollo d’intesa tra Confindustria e il ministero dello Sviluppo economico (si vede in tal senso la nota di Confindustria del 22 dicembre 2016).
Il tema dell’interconnessione del bene è particolarmente delicato, dato che, come si evince anche dalla relazione governativa al disegno di legge, solo quando il bene diventa effettivamente connesso al sistema aziendale scatta la maggiorazione del 150% ai fini della deduzione degli ammortamenti. Negli esercizi in cui non è ancora avvenuta la connessione, saremo sempre in presenza di un bene agevolato, ma per il quale la percentuale di aumento sarà quella standard del 40 per cento.
Un altro tema che viene sviluppato riguarda la perizia giurata che deve essere redatta da esperti iscritti agli albi nel caso di investimenti in bene con valore superiore a 500.000 euro. Su questo aspetto, la risposta delle Entrate è piuttosto chiara: la perizia deve essere redatta per ogni singolo bene. A fini pratici, questo significa che ill superamento della soglia deve essere valutato per ogni singolo investimento. All’interno dello stesso programma di investimenti potranno, quindi,
convivere beni di costo unitario inferiore, per i quali la dichiarazione dovrà essere resa dal legale rappresentante della società, e beni che superano la soglia, per i quali si dovrà ricorrere al perito. Invece, nel caso in cui vi siano più beni di costo unitario superiore a 500.000 euro, seguendo le richieste delle Entrate occorrerà una perizia per ciascuno di essi. Si tratta di una moltiplicazione di adempimenti che in realtà poteva essere evitata, dato che nella maggior parte dei casi le imprese
ricorreranno allo stesso perito per la dichiarazione relativa a tutti i beni.
Infine, incrociando i contenuti delle due risposte che abbiamo richiamato, occorre sottolineare come sia delicato il caso in cui esistano beni industria 4.0 di costo inferiore al mezzo milione di euro. In questa situazione, infatti, il requisito dell’interconnessione deve essere certificato dal legale rappresentante della società, e quindi da un soggetto che avrà comunque bisogno di un supporto tecnico esterno per esprimersi compiutamente su aspetti che, nella maggior parte dei casi, esulano dalle sue competenze specifiche.
Le ultime vicende sulla tassazione agevolata delle multinazionali e sulle conseguenti richieste di restituzione da parte dell’ Europa hanno nuovamente messo al centro dell’ analisi il confronto sulla tassazione dei redditi adottata nei diversi Stati europei.
Il tema è delicato, dato che, a differenza di quanto avviene con l’ Iva, per la fiscalità diretta non esiste una armonizzazione europea e i singoli Stati hanno margini di manovra e di scelta autonomi. Il livello della tassazione, quindi, finisce per dipendere non solo dall’ esigenza di coprire i fabbisogni di spesa interna, ma spesso si trasforma anche in uno strumento “competitivo”, per attrarre capitali e investimenti produttivi esteri. E come dimostra il confronto sul funzionamento della corporate tax in alcuni Paesi europei che presentiamo oggi, non solo le aliquote, ma anche le regole sono molto diverse da nazione a nazione.
Gli elementi da considerare per una riflessione più profonda sono almeno tre: qual è il tax rate effettivo, a prescindere dall’ aliquota nominale, adottato dei paesi; come incidono le agevolazioni e le norme particolari per determinate categorie di costi o di proventi; qual è il livello e il costo delle difficoltà e delle complicazioni che accompagnano la determinazione dei redditi da tassare.
Il discorso sul “total tax rate”, cioè sul prelievo reale, è molto delicato: il confronto tra aliquote nominali, infatti, non tiene conto di un elemento particolarmente rilevante, soprattutto nel sistema italiano, ovvero la differenza tra l’ utile di bilancio e il reddito fiscale.
Il reddito imponibile non coincide mai con l’ utile ante imposte, a causa soprattutto delle varie voci di costo che sono considerate non deducibili dalla normativa fiscale; le imposte sono determinate su valori maggiori e quindi incidono in bilancio per una percentuale di gran lunga più significativa di quelle nominale. È sufficiente analizzare le note integrative delle società, quotate e no, per trovare facile conferma di questo aspetto. Per l’ Italia, poi, bisogna tenere anche conto del fatto che nel nostro sistema c’ è un’ imposta del tutto particolare come l’ Irap, che è determinata su una base imponibile ancora una volta più ampia dell’ utile di esercizio. Il nostro Paese, in definitiva, finisce per tassare i redditi di impresa ben oltre il livello che si ottiene semplicemente sommando le aliquote Ires e Irap.
Per quanto riguarda il secondo tema, ossia le agevolazioni destinate a specifiche situazioni, è facile osservare che le discipline fondamentali (riportate nella grafica), ovvero detrazioni per ammortamenti, participation exemption, direttiva madre figlia sui dividendi, fiscalità agevolata per spese di ricerche e sviluppo, patent box per brevetti, sono presenti in tutti gli Stati, al di là delle differenze specifiche di applicazione pratica. Caso mai, su questo aspetto la crescente tendenza alla standardizzazione rischia di penalizzare il nostro Paese, vista la volontà di escludere dalla detassazione le royalties provenienti dai marchi, voce che invece contraddistingue in modo specifico la realtà di creatività industriale italiana. Oltre a questi aspetti, rimane però una questione non così apparente ma comunque fondamentale, ossia il modo in cui vengono determinate le imposte. Ciò che spesso allontana gli investitori esteri, infatti, non è solo il livello finale di imposizione, quanto anche la presenza nel nostro sistema di lungaggini burocratiche, di adempimenti macchinosi, di rischi fiscali sempre latenti.
Se vogliamo che l’ Italia diventi un Paese almeno comparabile, se non competitivo, con l’ Europa, la strada da percorrere è ancora lunga. Servono regole più semplici per determinare cosa è imponibile e cosa è deducibile, evitando calcoli astrusi che assorbono inutilmente risorse (un micro esempio per tutti: le regole sui costi delle auto aziendali). Servono imposte con regole di determinazione facilmente comprensibili: prima o poi, sarà indispensabile trasformare l’ Irap in quello che comunque è diventata, ovvero un’ addizionale dell’ Ires calcolata su reddito più interessi passivi più (in parte) costo del lavoro. Ma soprattutto, ancora più urgentemente di queste technicalities, serve un quadro generale che garantisca la certezza nei rapporti tributari, ampliando molto di più l’ ambito del ruling preventivo, dando regole e soprattutto tempi certi per il rimborso e la restituzione delle imposte, evitando riaperture e raddoppi di termini di accertamento che prolungano a dismisura i periodi di incertezza nel rapporto con l’ amministrazione finanziaria.
Occorre che almeno il fisco faccia la sua parte, visto che il contesto generale non è sicuramente incoraggiante, se teniamo conto dell’ immagine di complicazione, burocrazia, oscurità amministrativa e lentezza esasperante della giustizia che il nostro Paese dà di sé all’ estero.
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